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Rassegna Stampa

Tenere o vendere? I consulenti indipendenti rispondono ai lettori su Plus24 de Il Sole 24 Ore

DARE TEMPO ALLE SCELTE FATTE, SE SARANNO COERENTI AIUTERANNO A RECUPERARE

Tenere o vendere? Non ci sono dubbi sul da farsi per chi ha in portafoglio strumenti obbligazionari siano essi titoli oppure in alternativa strumenti di risparmio gestito come fondi comuni d’investimento. La risposta, a giudizio degli esperti sentiti sul tema, è la stessa: tenere. In particolare, rimanendo fedeli alle proprie posizioni e alle scelte di investimento se fatte rispettando il proprio profilo di investimento e soprattutto il giusto orizzonte temporale d’investimento.

«Perché, mai come ora – suggerisce Marco Galli, consulente finanziario indipendente, associato NAFOP – va rispettata quella regola aurea di portare a scadenza i titoli obbligazionari che solo così in valore assoluto mettono al riparo il capitale investito. Certo, poi con rendimenti bassi come quelli che abbiamo visto e un’inflazione che ha rialzato la testa la perdita c’è. Ma quello che è molto importante, soprattutto per un investitore retail, è rispettare la coerenza tra la durata dei titoli o dei fondi in portafoglio e l’orizzonte d’investimento. Se c’è, suggerisco di non fare alcun cambio e mantenere le posizioni altrimenti la perdita è certa». Certo, a guardare le performance dei fondi obbligazionari dall’inizio dell’anno (si veda in proposito la tabella in pagina), i risultati per la maggior parte delle categorie sono decisamente deludenti. Sia i prodotti legati ai titoli governativi, sia quelli alle obbligazioni societarie solo in rarissimi casi mostrano da inizio anno il segno più. È il caso dei fondi obbligazionari global bond dove la libertà di manovra ha consentito ai gestori di rimanere in area positiva giocandosela con molta probabilità tra scelte valutarie e di duration.

La ragione?

Per i mercati obbligazionari il primo semestre del 2022 è stato uno dei peggiori semestri nella storia. In primis valutazioni bassissime: i rendimenti alla fine del 2021, in calo da un decennio, erano a livelli storicamente molto bassi in tutti i comparti del mercato obbligazionario e al cambiamento nelle politiche monetarie delle banche centrali che hanno dovuto modificare radicalmente la politica ultra espansiva del precedente decennio (tassi bassi e quantitative easing). La persistenza dell’inflazione (originata dal Covid e amplificata dal conflitto tra Russia e Ucraina) ha indotto le Banche centrali a modificare la propria comunicazione segnalando la determinazione a fare di tutto per riportare i prezzi sotto controllo; i mercati hanno quindi iniziato a scontare un ciclo di aumenti di tassi rilevante nella misura e veloce nelle sue tempistiche di esecuzione.

«In linea generale, per chi detiene strumenti (obbligazioni, Etf o Fondi) che investono nel mercato obbligazionario – sottolinea Francesco Messina, consulente finanziario indipendente associato NAFOP – al momento è opportuno mantenere i propri investimenti per tre ragioni. Innanzitutto, rispetto al recente passato, le valutazioni sono molto più attraenti; i tassi sono saliti in maniera significativa su tutta la curva dei rendimenti e in tutte le principali aree valutarie. Si è inoltre assistito a un significativo allargamento degli spread di credito e quindi il premio che si riceve per investire nel segmento delle obbligazioni corporate è oggi a livelli storicamente attraenti».

La seconda ragione che sottolinea Messina riguarda l’apporto dei bond in termini di diversificazione. Rispetto al 2021 in cui le correlazioni tra azioni e obbligazioni erano molto elevate, da qualche settimana i bond di alta qualità stanno tornando a svolgere la funzione di diversificazione che storicamente hanno avuto nei portafogli. «In un ambiente che inizia a temere molto di più la recessione che l’inflazione – sottolinea ancora Messina – i tassi sulle obbligazioni di qualità a lungo termine iniziano a stabilizzarsi e in alcuni casi a scendere». Infine, il terzo motivo è rappresentato dal fatto che si iniziano a scorgere i segnali che il tanto auspicato picco inflattivo sia stato già raggiunto. «I timori di una recessione hanno già provocato un crollo delle materie prime (dai metalli industriali alle commodities agricole e fino al petrolio) – dettaglia ancora Messina – e sui mercati già si sconta che l’inflazione andrà a scendere. Di conseguenza, l’urgenza di alzare i tassi d’interesse potrebbe venir meno. Tutto questo potrebbe consentire alle obbligazioni (e quindi anche ai fondi obbligazionari, ndr) di recuperare terreno».

Per i fondi non va trascurato un aspetto: sono strumenti che spesso hanno costi elevati che riducono i rendimenti. Altra precauzione da seguire è essere molto selettivi sugli strumenti in portafoglio. Il rischio maggiore è costituito dal rischio credito. Ecco perché è utile evitare di concentrarsi su singoli emittenti in quanto la probabilità di default aumenterà rispetto al passato, privilegiando strumenti diversificati che possano beneficiare dall’ampio ventaglio di opportunità che l’attuale contesto ha determinato.

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