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ELENCO ASSOCIATI NAFOP
APRI [/full_width_section]
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Chi siamo
L’associazione italiana dei Consulenti Finanziari Autonomi che esercitano la Consulenza Finanziaria Indipendente “fee only” (= remunerati solo a parcella dal cliente).
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I servizi alla clientela
Qui di seguito sono riportati i principali servizi erogati alla clientela. Ogni studio professionale può erogare tutti i servizi o solo una parte degli stessi.
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Vademecum per l’investitore
Come riconoscere il consulente indipendente fee-only ( consulente finanziario autonomo”, a livello normativo).
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In Evidenza
Diego Magnetto, fino a luglio responsabile gestioni patrimoniali di Bnl Bnp Paribas lascia il gruppo francese per una nuova avventura professionale.
Lo scrive lui stesso su LinkedIn. "Oggi", dice, “ho lasciato ufficialmente il team italiano DPM di BNP Paribas; per circa 5 anni ho avuto la fortuna di lavorare con un gruppo di persone fantastiche con le quali tra varie difficoltà abbiamo raggiunto ottimi risultati. Dal 4 settembre, mi aspetterà una nuova sfida professionale che affronterò con grande entusiasmo come Responsabile Investimenti presso Nextperience SCF insieme a professionisti (e amici di elevato profilo economico-finanziario). L’attività di consulenza finanziaria indipendente è finalizzata all’esclusivo interesse del cliente in termini di pianificazione finanziaria, risk management, costruzione di portafoglio e performance”.
Magnetto ha lavorato dal 1999 al 2018 in Intesa Sanpaolo Private Banking per poi approdare in Bnl nel febbraio 2018 fino al luglio 2023.
di Gianluca Baldini (Citywire)
1 agosto 2023

Condividiamo il link alla trasmissione di PLUS24 de Il Sole 24 ore a cui ha partecipato la collega Linda Leodari lunedì 6 marzo scorso.
Un ottimo momento per raccontare il nostro servizio di consulenti finanziari autonomi e in particolare per parlare del servizio di pianificazione per obiettivi di vita proposto dallo studio della collega.
Dal 2019 è atteso il decreto che renderà più semplice l’accesso alla professione
Si è svolto in settimana a Verona il FeeOnly Summit 2022, la kermesse di due giorni organizzata da Consultique dedicata ai consulenti finanziari autonomi giunta ormai alla 12esima edizione.
La conferenza di apertura è stata un’occasione per fare il punto sulla professione a distanza di quattro anni (1° dicembre 2018) dalla partenza del nuovo Albo dei consulenti finanziari.
«Nel 2019, dopo pochi mesi dall’avvio - ha affermato Alessandro Paralupi, segretario generale dell’Organismo di tenuta dell’Albo (Ocf) - erano iscritti 200 consulenti autonomi e 31 società di consulenza finanziaria (Scf). Oggi il numero delle società iscritte è raddoppiato (61) e quello delle persone fisiche è quasi triplicato (539). I numeri sono interessanti e c’è un flusso costante di nuove domande di iscrizione». Parole incoraggianti per una professione che ha dovuto attendere oltre un decennio per essere riconosciuta nel nostro ordinamento. «La normativa che ci riguarda non ha avuto ancora il suo completamento - ha aggiunto Cesare Armellini, presidente Nafop (associazione dei consulenti autonomi), ma nonostante questo freno ci stiamo affermando.
Ad oggi siamo in attesa del decreto ministeriale che era stato posto in consultazione nel novembre del 2019, che aprirebbe le porte alla professione a tanti soggetti che oggi sono iscritti nell’altra sezione dell’Albo dei consulenti abilitati all’offerta fuori sede. Di fatto sarà consentito il passaggio senza sostenere un esame anche a coloro che all’epoca sono stati iscritti nell’altra sezione senza una prova di esame con i requisiti professionali. Si tratta di una percentuale altissima degli iscritti all’altra sezione, tra il 30-50%. Inoltre verrà permesso a tutti coloro che hanno esercitato un servizio di investimento per 3 anni negli ultimi 10anni, di iscriversi nella sezione degli autonomi senza sostenere l’esame.
Attendiamo quindi un nuovo impulso dal decreto». Dal decreto (una bozza è anche pubblicata sul sito del ministero in attesa di arrivare in Gazzetta nella versione finale) si attende anche la definizione delle regole per il praticantato, che darebbe la possibilità ai giovani di avvicinarsi a una professione che viene remunerata solo dal cliente con una parcella, non dagli intermediari, come qualsiasi altro professionista.
Gianfranco Ursino

Il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria promuove ogni anno, per tutto il mese di ottobre, il “Mese dell’Educazione Finanziaria” (Il Mese dell'Educazione Finanziaria - Quello che conta) : iniziative ed eventi, gratuiti e di qualità, senza fini commerciali, per accrescere le conoscenze di base sui temi assicurativi, previdenziali e di gestione e programmazione delle risorse finanziarie personali e familiari. Conoscenze indispensabili per la serenità del presente e del futuro.
NAFOP all'interno dell'evento ha organizzato il seguenti Webinar:
INFLAZIONE: É TORNATA L'ORA DELLE OBBLIGAZIONI?
Investire oggi con alta inflazione e tassi crescenti.
I consigli della Consulenza Indipendente
LINK: https://us06web.zoom.us/webinar/register/4316650527456/WN_dhKbxSLCQGOMI4EMssQFtg
Gli speaker del webinar saranno professionisti associati a NAFOP.
ITForum Awards: NAFOP premiata nella categoria “Consulenza finanziaria indipendente: impegno per il settore”
Prosegue la presentazione dei premiati all’ITForum Awards. I riconoscimenti sono stati attribuiti da BFC Media ai player del settore dei servizi finanziari online che maggiormente si sono distinti nel corso dell’anno per l’innovazione al servizio degli utenti.
Nel dettaglio, per la categoria “Consulenza finanziaria indipendente: impegno per il settore” è stata premiata NAFOP per la formazione e la promozione di questo comparto in Italia. Hanno ritirato il premio Luca Mainò e Giuseppe Romano, entrambi membri del Consiglio Direttivo di NAFOP.
NAFOP è l’associazione italiana dei Consulenti Fee-Only che ha per scopo la regolamentazione, la tutela e lo sviluppo dell’esercizio della professione del consulente finanziario indipendente (a livello normativo rinominato Consulente Finanziario Autonomo), nonché la diffusione della conoscenza presso il pubblico della professione e del suo ruolo.

Si svolgerà, in prima convocazione domani 27 aprile e in seconda convocazione giovedì 28 aprile alle ore 9.00, l'assemblea annuale dell'associazione.
All'ordine del giorno l'approvazione del bilancio consuntivo 2021 e l'approvazione del bilancio previsionale 2022.
La votazione sarà elettronica online sulla piattaforma ELIGO.
Qui le indicazioni per come votare: NAFOP - guida_al_voto_2.0
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Rassegna Stampa
Quotati a Piazza Affari gli unici due Etf in Europa specializzati sul tema
Il settore armi e difesa è sicuramente controverso: oscilla tra possibili opportunità, problematiche etiche e una forte volatilità. Con l’avvento della guerra in Ucraina si è creato, finanziariamente parlando, un quadro positivo per i titoli di questo settore, che sta diventando sempre più performante.
Bank of America ha infatti raccomandato più volte ai suoi investitori di puntare sui titoli della difesa a grande capitalizzazione, facendo attenzione al quadro geopolitico che non sembra essersi rasserenato.
«Da anni, si è innescata una corsa agli armamenti a livello globale – spiega Ida Pagnottella, consulente finanziario indipendente associata a Nafop - e la situazione in Ucraina non ha fatto altro che intensificare questo processo. L’escalation di tensioni geopolitiche, che stanno portando a un mondo multipolare e non più dominato dall’Occidente, hanno spinto ulteriormente gli investimenti nell’industria».
Da questa situazione emerge un aumento sempre più consistente della spesa globale per la difesa, con un investimento che ha raggiunto la cifra record di 2.240 miliardi di dollari solo nel 2022 (+3,7% rispetto al 2021) e che dovrebbe addirittura aumentare siccome molti Paesi Nato devono ancora raggiungere l’obiettivo previsto dagli accordi di investire il 2% del Pil annuo in armi e difesa.
Diversi Paesi stanno adottando strategie nel settore della difesa: gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Australia si sono alleati per la produzione di otto nuovi sottomarini nucleari per la marina australiana, mentre il Giappone ha l’obiettivo di investire il 2% del suo Pil nel settore della difesa nei prossimi 5 anni. Nel frattempo, la Cina continua ad aumentare gli investimenti nella sua difesa.
Per gli investitori, quindi, che opportunità emergono? «Dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, le maggiori società attive nel settore della difesa, delle armi e dell’aerospazio hanno visto salire il prezzo delle loro azioni tra l’8 e il 170% - spiega Marco Chinaia, analista di Consultique - dando vita a un vero e proprio rally di mercato, sostenuto dal notevole incremento degli impegni economici e politici che Europa e Usa stanno assumendo». «Come tutti gli investimenti azionari, il settore azionario della difesa nel breve periodo risente di fattori come i tassi di interesse e la liquidità di mercato – continua Pagnottella -. Quando l’inflazione è in fase calante insieme ai tassi e al dollaro, questi fattori possono ridare un sostegno al settore».
Ma anche l’industria degli Etf – fondi comuni quotati che replicano passivamente l’andamento di un indice che diversifica e riduce il rischio su numerose società – non è rimasta ferma e in Italia da inizio 2023 sono stati quotati due Etf concentrati sul settore difesa (vedi tabella in basso).
«Secondo una ricerca che HANeft ha condotto tra i gestori patrimoniali, il 78% degli intervistati ha affermato che la geopolitica è un aspetto di fondamentale importanza per scegliere gli Etf su cui investire – spiega Chinaia –. I due Etf approdati a Piazza Affari sono gli unici in Europa concentrati sul settore difesa».
L’Etf di VanEck replica fisicamente l’indice MarketVector Global Defense Industry, composto da un paniere molto concentrato di 29 titoli, legati alla tecnologia della difesa e alla sicurezza informatica su larga scala. «Nel dettaglio, le azioni che compongono l’indice devono dimostrare di ottenere ricavi dall’industria militare o della difesa per almeno il 25% del fatturato – continua –. A livello geografico il peso principale è, come ci si aspetta, quello degli Stati Uniti che, al 30 giugno 2023, valeva il 56,54% della composizione totale».
Recentemente è stato quotato su Borsa Italiana anche l’Etf di HANetf, che replica fisicamente l’indice Eqm Future of Defence, composto da un paniere di 46 aziende attive nella produzione di armi, aerei, equipaggiamenti e strumenti per la difesa e per la sicurezza informatica per gli alleati Nato.
A livello geografico il peso principale è, anche in questo caso, quello degli Stati Uniti che, al 30 giugno 2023, valeva il 61,98% della composizione totale.
Eleonora Trentini

AdvisorWorld
La necessità di una consulenza finanziaria indipendente è diventata sempre più evidente negli ultimi anni, poiché il mondo della finanza diventa più complesso e le persone faticano a prendere decisioni di investimento in linea con le diverse condizioni dei mercati finanziari.
5 aprile 2023
Intervista a Luca Mainò, cofondatore Consultique SCF, vice presidente AssoSCF, membro del Direttivo NAFOP
Dottor Mainò, facciamo il punto sulla domanda di consulenza finanziaria indipendente. Che cosa emerge dalla vostra interazione quotidiana con investitori e famiglie?
Quello che notiamo da tempo è la crescita dell’interesse verso la consulenza finanziaria slegata da banche ed intermediari. Consulenti e SCF ricevono ogni giorno telefonate e email da parte di diverse tipologie di utenti che cercano una seconda opinione sui propri investimenti. Si tratta sia di piccoli risparmiatori che di famiglie con patrimoni significativi, che hanno l’esigenza di avere un parere su come è allocato il proprio patrimonio e vogliono sapere come ristrutturare la propria asset allocation.
Cosa vi chiedono gli investitori nello specifico? Che cosa li preoccupa in questa fase?
In primo luogo, vogliono capire se la banca presso la quale hanno depositato i propri asset finanziari è solida; questo alla luce delle notizie sulla crisi di alcune banche americane e in merito alla recente questione dell’acquisizione di una banca europea da parte di un istituto concorrente. Poi, l’altro tema è quello della protezione della propria ricchezza: c’è l’argomento inflazione che preoccupa gli investitori più attenti, ma anche una maggiore consapevolezza circa i costi dei prodotti in portafoglio che spesso erodono capitale e rendimenti.
In oltre vent’anni di attività avete sviluppato un network di professionisti e società di consulenza indipendente nel nostro Paese. Cosa apprezzano i vostri clienti?
Con il modello di consulenza Fee-Only Fully Independent i professionisti e le società di consulenza sono pagati solo ed esclusivamente a parcella dai clienti. Ma non solo. Non hanno nemmeno rapporti con banche o altri intermediari. Questo consente loro di non dover mediare tra gli interessi dei clienti e quelli della banca, garantendo un servizio realmente indipendente a beneficio completo dell’investitore. Servizi che prima erano rivolti solo a famiglie con patrimoni importanti oggi sono a disposizione di tutti: adesso, con il supporto di queste nuove realtà indipendenti è possibile far valere il proprio potere contrattuale nei confronti della banca, ad esempio rinegoziando le condizioni e sostituendo prodotti di investimento a volte costosi ed illiquidi con strumenti efficienti e liquidi/liquidabili.
I consulenti indipendenti e le SCF cosa propongono ai propri clienti?
Il servizio principale è la pianificazione patrimoniale che si concretizza in diverse fasi. Anzitutto è necessario mappare il patrimonio della famiglia, per una visione chiara di tutti gli asset e delle passività (investimenti, conti, immobili, debiti). Risponde alla domanda “a quanto ammonta la mia ricchezza?” alla quale quasi tutti rimangono a bocca aperta e non sanno cosa dire. Poi bisogna capire se gli investimenti in essere hanno un senso oppure no; spesso troviamo situazioni completamente fuori da ogni logica di pianificazione. Successivamente c’è la scelta dell’intermediario. La fase più delicata è però quella dove si individuano gli obiettivi di tutto il nucleo familiare, dove noi abbiamo un ruolo di supporto determinante. A questo punto bisogna prioritizzare gli obiettivi e matcharli con gli asset disponibili in una visione temporale più o meno lunga a seconda del tipo di obiettivo e delle risorse a disposizione. Con l’approccio “fully independent” tutti questi step sono semplificati, in quanto consulente e cliente possono agire senza vincoli o frizioni di nessun tipo, che invece non di rado notiamo quando l’advisor deve rendere conto ad una banca.
Dottor Mainò, se una persona vuole diventare un consulente finanziario indipendente o creare una SCF, cosa deve fare?
Chi gestisce clienti per una banca o opera come agente di una rete può, una volta dimesso, fare domanda di iscrizione nella sezione ad hoc dell’albo. Prima di agire, consiglio comunque di organizzare una call con un consulente indipendente per esaminare se si è in possesso di tutti i requisiti. I neofiti devono sostenere un esame organizzato dall’organismo OCF e poi possono presentare domanda di iscrizione. La creazione di una SCF (Srl o S.p.A.) prevede che i componenti del consiglio di amministrazione siano tutti iscritti all’albo nell’apposita sezione.
Un ultimo consiglio per chi possiede un patrimonio.
Ripeto ciò che ho scritto in un post all’inizio del 2023: “se avete un patrimonio finanziario, piccolo o grande non ha importanza, dategli un occhio con attenzione. Se non sapete come, fatevi aiutare da qualcuno che ne sa più di voi. Se pensate che sia tutto a posto, chiedete comunque una seconda opinione. Se già avete dubbi su come è allocato, non perdete altro tempo.

La chiamano consulenza finanziaria “evoluta” ma attenzione non va confusa con la consulenza finanziaria indipendente
Ecco i modelli di servizio delle principali reti bancarie
La chiamano consulenza finanziaria “evoluta” ma attenzione non va confusa con la consulenza finanziaria indipendente. Entrata di diritto con la Mifid 1 nel 2007 nell’ambito dei servizi d’investimento vigilati, la consulenza finanziaria richiede specifici requisiti per essere prestata con diversi modelli di servizio ai clienti.
Di recente la questione è tornata d’attualità con la discussione a livello europeo sull’abolizione o meno degli inducements. Si discute infatti se prevedere o meno il divieto delle retrocessioni (quella parte di costo dei prodotti finanziari che sono corrisposte dalle case prodotto ai distributori). Se passasse la proposta (al momento c’è stata una fumata nera), nella Ue i consulenti potrebbero proporre solo un modello di advisory, quello a parcella. Modello, questo, che oggi viene identificato con la consulenza indipendente. E proprio sul concetto di parcella (commissione fee-only) che si devono fare dei distinguo.
Lo spiega bene Luca Zitiello, avvocato ed esperto della materia: «la consulenza in materia di investimenti, vigilata e normata ai sensi Mifid non è detto che sia indipendente - dettaglia Zitiello -; nella maggioranza dei casi, almeno in Italia, il modello prevalente sta nel fornire questo servizio da parte di banche e Sim attraverso gli stessi professionisti che prestano l’offerta fuori sede. Quindi, non è una consulenza indipendente perché la medesima disciplina richiederebbe in tal caso che la banca o la Sim si avvalesse di una rete diversa rispetto a quella con la quale colloca prodotti d’investimento. Questo però non vuol dire che non possa essere pagata con una parcella unica (fee-only). In taluni casi, poi, la banca retrocede al cliente gli inducements che percepisce dalla società di gestione. In ogni caso, parlando di consulenza finanziaria, vale il principio che qualunque sia il servizio prestato va esplicitato al cliente anche sotto il profilo dei costi».
Se tutti (o quasi) erogano gratuitamente la cosiddetta “consulenza base” (consigli personalizzati sugli investimenti con attenzione al presidio del rischio e all’adeguatezza del portafoglio), il sistema più diffuso tra le reti bancarie resta quello della consulenza fee on top, ovvero una commissione più bassa di quella unica che si aggiunge ai costi dei prodotti sottostanti. Qui ai consigli d’investimento si sommano altri servizi che spaziano anche in altri campi.
Alcune case estere ricorrono poi ad una commissione “fee over”, che è applicata in caso di gestione patrimoniale o con un contratto di consulenza finanziaria dove i sottostanti sono classi istituzionali di fondi di investimento.
Da Banca Sella a Fineco
La consulenza finanziaria fee on top è ad esempio proposta da Medionalum. Mentre il doppio modello (fee on top e feeonly) è adottato in Banca Patrimoni Sella. «In un sistema di architettura aperta abbiamo deciso di dare al cliente la doppia opzione ma non è mai una consulenza indipendente - sottolinea Carlo Giausa, head of Wealth & Asset Management in Banca Sella - in comune con la consulenza indipendente abbiamo il sistema di pricing. Nel nostro caso a fronte di una consulenza fee only (in media l’1%) al cliente vanno le retrocessioni che riceviamo dalle case prodotto, mentre con il modello fee on top (con una commissione dallo 0,2 allo 0,6%) il cliente paga anche i costi dei prodotti sottostanti».
Anche in Fineco è stata introdotta per patrimoni superiori ai 200mila euro il contratto di consulenza fee only (consulenza evoluta). Il cliente paga una commissione che può variare dallo 0,55 al 2,2%, ma riceve integralmente dalla banca la quota parte delle commissioni di gestione dei fondi in cui investe.
Le proposte di Intesa e Ubs
Tra le soluzioni a disposizione dei clienti di Ubs c’è un contratto di consulenza in cui la banca fornisce degli insight ma alla fine è il cliente a decidere cosa fare e quindi paga in aggiunta per ogni transazione. È possibile anche il contratto di consulenza associato a prodotti di risparmio gestito in cui sono previste commissioni fisse e costi di transazione inferiori.
In casa Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking il contratto di consulenza evoluta (SEI in Fideuram e VIEW in Intesa Sanpaolo Private Banking) prevede una remunerazione separata a seguito della sottoscrizione di uno specifico contratto. È prevista anche l’opzione del contratto Private Advisory con un livello di servizio diverso con il coinvolgimento, accanto al banker, nelle scelte di asset allocation del supporto di uno specialista dell’unità Financial Advisory.
di Lucilla Incorvati

A mia figlia di 23 anni, è stato proposto un contratto a tempo indeterminato con inquadramento al sesto livello del contratto commercio e terziario - Confcommercio. All’atto della firma le è stato consigliato di lasciare il Tfr in azienda, suggerimento che lei ha accettato. Premetto che fino ad ora ha lavorato con partita Iva regime forfettario ed ha già aderito al fondo aperto Seconda Pensione di Amundi un paio di anni fa e versa regolarmente mensilmente una cifra di 125 euro. A questo proposito chiedo: secondo la vostra esperienza è meglio lasciare il Tfr in azienda o destinarlo al fondo negoziale di categoria spostando anche quanto accumulato in questi due anni sul fondo Amundi? La decisione di lasciare il Tfr in azienda può essere revocata o modificata? Il contratto indica il fondo Fon.te. come destinazione alternativa del Tfr. È l’unica alternativa possibile? Che opinione avete del fondo?
Risponde Paola Ferrari - consulente finanziario autonomo associato Nafop
Cominciamo con il dire che spiace, anche se non stupisce, che il consiglio dell’azienda sia di evitare di versare il Tfr alla previdenza complementare. Come ben saprà il futuro previdenziale dei giovani (e anche dei meno giovani che appartengono al regime contributivo) è sicuramente più incerto che in passato. E il secondo pilastro pensionistico, tanto più che esiste un fondo negoziale (meno gravato da costi), potrebbe consentire una rendita integrativa. Va detto che a livello di rendimento ora l’opzione Tfr in azienda appare più remunerativa rispetto alla previdenza complementare. «Il Tfr lasciato in azienda si rivaluta ogni anno in una misura fissata dalla legge pari all’1,5% più il 75% del tasso di inflazione – conferma Paola Ferrari esperta previdenziale di Consultique Scf –, mentre il rendimento del Tfr versato in un fondo pensione (aperto o negoziale) dipende esclusivamente dai risultati del fondo (che in questo ultimo periodo non brillano di certo). Considerando l’alta inflazione attuale, nel breve periodo è logico aspettarsi che il rendimento del Tfr lasciato in azienda sia più alto di quello ottenuto dai fondi pensione, tuttavia nel lungo periodo lo scenario potrebbe essere diverso».
Oltre al rendimento, ci sono altre variabili da considerare. Per chi ha la possibilità di aderire ad un fondo di categoria, come nel caso della figlia del nostro lettore, se oltre al Tfr versa il contributo minimo volontario, ha diritto al contributo datoriale, contributo a cui non si ha diritto lasciando il Tfr in azienda. Nel caso specifico, l’adesione a Fon.te non è l'’unica alternativa possibile, in quanto la lavoratrice potrebbe aderire anche ad un qualsiasi fondo pensione aperto, ma in questo caso perderebbe il contributo datoriale; inoltre, in genere i fondi pensione aperti e i Pip hanno commissioni più alte. «Quindi, se si può aderire ad un fondo di categoria, si consiglia di privilegiarlo rispetto ai fondi aperti. Il trasferimento di quanto accumulato su Amundi non è necessario, in quanto possono rimanere aperte anche più posizioni» spiega Ferrari.
C’è poi, l’aspetto fiscale da considerare: il Tfr accumulato in azienda è soggetto al regime di tassazione separata: entrano in gioco quindi gli scaglioni Irpef che attualmente vanno dal 23% al 43% e la tassazione è calcolata considerando l’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quella in cui si percepisce il Tfr. Per quanto riguarda i fondi pensione la tassazione è decisamente più bassa: è pari al 15% e si riduce di una quota pari a 0,30% per ogni anno eccedente il 15° di partecipazione a forma pensionistica complementare con un limite massimo di riduzione del 6 per cento.
Per rispondere all’ultima domanda nel caso in cui si scelga di lasciare il Tfr in azienda, questa scelta può essere modificata e, quindi, in qualsiasi momento si può scegliere di aderire ad un fondo pensione; il Tfr maturato fino a quella data potrà essere trasferito nel fondo pensione solo a discrezione dell’azienda. Diversamente, nel momento in cui si sceglie di aderire ad un fondo pensione, versando il Tfr, tale scelta è irrevocabile, anche se si cambia datore di lavoro.

Sono un piccolo risparmiatore con moglie e due figlie adolescenti. Avendo la “fortuna” di avere 60mila euro di liquidità da investire, mi rivolgo a «Plus 24» e i suoi esperti per ricevere una valutazione sulla mia idea. Cerco un investimento che garantisca la somma e non una rendita, che possa essere sicura e inattaccabile dall’inflazione, per questo ho pensato all’oro.
Francamente ho solo nozioni elementari su come si possa investire e ho anche perplessità in merito all’idea e che sia effettivamente valida per lo scopo.
Potete affrontare l’argomento ed eventualmente suggerire fonti dove poter approfondire.
Risponde Andrea Zanella, consulente finanziario autonomo associato Nafop
Cominciamo con il dire che le informazioni che ci ha dato sono un po’ troppo scarne. Iniziando dall’oro «attraverso una serie di analisi comparative si è riusciti a capire che effettivamente l’oro ha coperto sistematicamente dall’inflazione. Infatti rispetto ai tempi dell’Impero Romano il suo potere di acquisto è rimasto pressoché invariato (anche se non ci sono certezze per il futuro) –spiega Andrea Zanella, consulente finanziario indipendente a cui Plus24 ha chiesto un parere –. Quindi il ragionamento del lettore potrebbe essere corretto, nel lungo termine. Ma, come ha affermato John Maynard Keynes (considerato l'economista più influente del ventesimo secolo), nel lungo termine saremo tutti morti». In sintesi, secondo il consulente, l’esigenza di un investimento che garantisca la somma in realtà parte da un punto di vista errato. La cifra a disposizione deve essere destinata a un obiettivo concreto e preciso e il target posizionato nel tempo e corredato da un grado di sopportazione del rischio.
Solo in questo modo potremo accettare le inevitabili oscillazioni che ci accompagneranno e arrivare al raggiungimento dello scopo che ci siamo prefissi. Questo processo si chiama “pianificazione per obiettivi di vita”.
Non esiste un investimento di per sè sicuro e inattaccabile dall’inflazione e quindi per forza di cose si dovrà frazionare il rischio “oscillazione” tra più prodotti finanziari trai quali può avere senso comprendere anche l’oro (e per qualcuno anche le cripto).
«In relazione al tempo e alla cifra a disposizione poi si dovrà cercare il mix migliore tra obbligazioni (finalmente si tratta di un’asset class investibile dopo la discesa dei corsi), azioni, beni reali (case, terreni), materie prime, oro – spiega Zanella –. Insomma la noiosa diversificazione, unica ricetta per riuscire a sbagliare meno».
Che percentuale dedicare all’oro (fisico o tramite Etf)? «In realtà è soggettivo, non esiste a priori una percentuale giusta, visto che dipende dai ragionamenti e variabili
sopra esposte – aggiunge Zanella –. Il denaro, inoltre, deve servire a farci stare bene, a non crearci ansia e quindi ad alcuni potrà andare bene il 20% ad altri il 5 per cento. Si dovrebbe anche fare un ragionamento di sostenibilità. Che utilità ha l’oro? Per i più sensibili al tema ecologico, quindi, la percentuale di investimento potrebbe arrivare a zero».
Il lettore ha due figlie adolescenti: ha pensato a garantire loro il migliore futuro in termini di studi? «La vera eredità ritengo sia dare la possibilità ai propri figli dipotersi trovare un lavoro remunerativo e adatto alle proprie inclinazioni, quindi la chiave è il percorso di studi».
Ha pensato al reddito suo e di sua moglie una volta terminato il periodo lavorativo (previdenza)?
Possiede delle coperture assicurative adatte a offrire certezze alla famiglia dagli imprevisti della vita?
Questi sono esempi di obiettivi da realizzare con la liquidità a disposizione. Se visto in quest’ottica probabilmente il concetto di investimento sicuro e inattaccabile dall’inflazione potrebbe ben cambiare e assumere delle connotazioni molto diverse e più concrete. «Ci troviamo in un momento di mercato davvero unico – spiega Zanella–: obbligazioni finalmente interessanti, azioni non più carissime. Probabilmente anche un’asset scelta con il “testa o croce” da oggi a tre anni darà risultati positivi, ma non volendo estremizzare fino a questo punto, direi che un portafoglio composto dal 50% di Etf obbligazionari (con durate e sottostanti diversi), 30% di prodotti azionari (in buona parte agganciati all’indice delle Borse mondiali e poi sui temi del futuro) e il resto in materie prime (compreso un po’ di oro), potrebbe affrontare le oscillazioni dei mercati con una buona stabilità».
Federica Pezzatti

Ho 33 anni e solo adesso sto iniziando a costruire il mio portafoglio. Ho un lavoro a tempo indeterminato come consulente marketing, la previdenza complementare va alf ondo Cometa. Non ho una casa di proprietà mia e convivo in affitto. Non ho progetti veri e propri di acquisto di una casa nel breve periodo.
Acquisto semestralmente le azioni dell’azienda per la quale lavoro (Accenture) a prezzo agevolato perché dipendente (sconto del 15%), accantonando direttamente una percentuale dello stipendio (circa 100 euro al mese).
Ho liquidità su due conti correnti, in uno viene depositato lo stipendio mentre l’altro è abilitato per il deposito titoli, che fino ad ora era rimasto “fermo”.
A inizio novembre 2022 ho acquistato un BTp a tasso fisso 2% che scadrà a dicembre2025 (10mila euro) e il BTp Italia di ultima emissione. Anche se ho molto da imparare in questo ambito, l’idea era di iniziare ad investire una parte dell’attuale patrimonio per mantenere, almeno in parte, il mio potere d’acquisto. Oltre alle operazioni già nominate, stavo pensando quindi di investire circa 30mila-40mila euro in Etf il più possibile diversificati. Propenderei quindi per degli Etf globali azionari con la seguente distribuzione: un Etf che replica i titoli azionari a grande e media capitalizzazione (sia su mercati sviluppati sia emergenti), per esempio iShares MsciAcwi Ucits Etf (Acc); un Etf che replica i titoli azionari a piccola capitalizzazione dei mercati sviluppati, per esempio l’iShares Msci Small Cap Ucits Etf. Per il resto non saprei se chiudere con un Etf bilanciato (60% azionario, 40% obbligazionario) o con uno che replica le materie prime oppure con un Etf inflation linked. In generale, nel mio caso non credo convenga acquistare uno o più di questi Etf attraverso un Pac. Un’alternativa, al posto di un terzo Etf, sarebbe avere un fondo pensione aggiuntivo.
Mi piacerebbe ricevere un vostro parere sulla potenziale composizione del mio portafoglio.
Risponde Renato Viero, consulente finanziario autonomo associato Nafop
Il portafoglio della lettrice 33enne trova l’approvazione di Renato Viero, consulente indipendente della RV capital partners che abbiamo consultato per analizzare la situazione. «Gli strumenti scelti sono sicuramente molto validi – spiega Viero –. I BTp in questo momento sono interessanti per quel che riguarda la parte obbligazionaria e gli Etf diversificati globali rappresentano la scelta migliore per quella azionaria».
La cosa importante da capire è la sua propensione al rischio, in secondo luogo sarebbe importante anche fare un’analisi dettagliata degli obiettivi che ci si pone finanziariamente per sviluppare un corretto piano finanziario da raggiungere attraverso il portafoglio di investimento. Tutto ciò serve a prendere, e a mantenere, le decisioni ottimali in termini di asset allocation ossia capire il corretto bilanciamento tra le componenti meno rischiose (obbligazionario governativo ossia i BTp) e quelle un po’ più rischiose (gli Etf globali e commodities).
«La componente obbligazionaria andrebbe integrata nel momento in cui i mercati lo permetteranno – spiega Viero –. A mio giudizio non è ancora arrivato il momento. Fra qualche tempo si potrebbe aumentare la dose di BTp e puntare anche su Etf diversificati su obbligazioni ad alto rendimento oltre che corporate ed emergenti».
Il primo Etf scelto per replicare la componente azionaria globale ossia un clone che replica l’indice Msci Acwi rappresenta una buona scelta per la parte strategica del portafoglio in modo da legare la maggior parte del portafoglio al mercato azionario globale. Integrare con l’indice small cap piuttosto che inserendo altri tipi di Etf settoriali o geografici è una scelta invece di natura tattica che va considerata a seconda del momento in cui si decide di operare.
Il bilanciamento tra le componenti tattica e strategica è molto importante ai fini della performance; e se non si ha una visione chiara sulla componente tattica è meglio attenersi solo a quella strategica.
In caso di inserimento di una componente tattica la sua performance andrà costantemente confrontata con l’andamento di quella strategica per verificare che effettivamente si stia aggiungendo valore.
«Non vedo particolari motivi per comprare il terzo Etf indicato , dal momento che è già presente una buona selezione obbligazionaria ed azionaria (in Etf) in portafoglio e comprare un bilanciato significherebbe fare lo stesso lavoro ma a costi superiori –aggiunge Viero –. Può avere più senso invece comprare degli Etf di replica delle materie prime e dei metalli preziosi ma in percentuali contenute nel portafoglio totale dato che tali componenti hanno una volatilità molto più alta rispetto a equity e bond».
Infine attenzione ai costi di acquisto e ai costi di transazione dei titoli. Un Pac con bassi ammontari rischia di avere dei costi di transazione molto alti e quindi vanificare l’ottimo lavoro effettuato sulla selezione degli strumenti. Meglio aspettare che si accumuli un po’ di liquidità e effettuare gli acquisti a scaglioni minimizzando i costi di transazione. Per quanto riguarda il fondo pensione avendo già Cometa appare superfluo aprire un’altra posizione. Al limite può valutare di incrementare i versamenti per sfruttare al massimo la deducibilità fiscale e arrivare a 5.164,57 euro annui.

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NAFOP per i Commercialisti
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